12 aprile 2009

Berruguete 1

CANE DI PANE

Berruguete corre intorno al palazzo per acciuffare un cane di piccola taglia che gli ricorda qualcosa o qualcuno che ha già conosciuto. Il cane è lì ma non si fa afferrare e Berruguete allora prova nostalgia, una nostalgia feroce come la può dare solo una cosa che ci appartiene e che non possiamo raggiungere. Sembra la nostra migliore opportunità, ma ci sfugge. E' un sorriso che non guarda noi e questo ci dispiace.
"Perché insegui quella povera bestia?" dice il fornaio. "Non vedi che ama di libertà la povertà e lo stento? Credi che se lo avesse voluto non avrebbe trovato già un padrone? Ma non lo vuole. Non lo vuole."
Allora Berruguete piange, piange come se tutte le nuvole fossero nei suoi occhi. Appoggia la fronte al muro e con quei goccioloni di lacrime a singhiozzo vorrebbe scioglierne tutti i mattoni. Potrebbe fondere tutti i palazzi che sono lì intorno, passare nei muri come una crema nei bomboloni.
Il fornaio capisce che è meglio riportare alla ragione quel diavolo che lacrima e singhiozza. E singhiozza talmente che certi strappi gli partono violenti dalla bocca e vibrando sembrano tornare indietro nella gola e se ne vanno giù per il collo e tutta la persona, che infatti si scuote e vibra e pare che Berruguete si prenda a morsi da sé.
“Ma cosa vuoi che sia un cagnetto come quello?" dice il fornaio.
Così gli va vicino e lo rincuora. Ma quello niente.
“Ma perché" gli dice, "perché lo vuoi quel cane? Ti ha forse fatto un torto? Ha forse morso i tuoi calzoni?"
“Quel cane" dice Berruguete tra le lacrime, "quel cane è mio zio!"
Allora il fornaio prova una grande pietà per Berruguete. Entra nella sua bottega e si mette a lavorare un pezzo di mobida pasta e gli dà forma di cagnetto.
Il fornaio è un artigiano esperto. E lesto. Se gIi dai una mollica ti fa un paesaggio. Con un pugno di farina è capace di creare tutto un panorama di case, boschi e città.
Solo i fornai potrebbero dar vita a una nuova civilità, fare addirittura un mondo nuovo, diverso e migliore. Ma ci sono certi passeri neri che non si perdono una briciola e allora questo mondo non si vede e non si vedrà mai.
Insomma, Piero fornaio fa questo cagnolo con delle zampette così deliziose, con un musino di tale grazia, una codina talmente vezzosa che quando il pane esce dal forno non sa lui stesso se darlo a quel piagnone di fuori o tenerlo per sé. Comunque la cosa è fatta e tanto vale darglielo. Lo chiama dalla soglia deIIa bottega e dice: "Vieni, vieni qua Berru, te ccà, tiè tiè, tzu tzu tzu."
Berruguete va verso di lui e lo raggiunge, mite. Siede sul gradino su cui batte il sole di questa primavera tardiva.
Piero fornaio siede vicino a lui, con fare dolce gli dice: "Ecco il tuo cane di pane. Prendilo e non stare lì a frignare ché mi spaventi tutte le donne che fanno la spesa."
Ecco che quello si sente rincuorato, smorza i singulti.
La buccia amara del dolore si apre piano piano, viene messa via la parte peggiore.
Piero e Berru guardano l'opera. Vedono bene che acqua e farina sono una gran cosa messe assieme. Capiscono la storia ebraica del fango e di chi ci soffiò sopra. Di Adamo fatto di acqua e terra, di Eva cotta dal fuoco del sole.
E stanno assorti, gli occhi persi negli occhi gonfi del cane fatto di pane... Sono solo due piccole borchie di pasta dorata. Ma hanno dentro la vita, danno il coraggio che dà l'ora mattutina. Sono la calma. L'inizio della tregua. L'alba.
Con la mano sinistra Piero fornaio dà un pizzico alla zampetta del pane, ne stacca un grammo, lo tiene fra due dita. Lo alza che quello brilla di luce nel controluce, fuma di forno, svapora la sua anima in un bagliore. Poi, con molta dolcezza, lo mette sulle labbra di Berruguete che ne prende il calore quasi con spavento. Sa, sa bene che è un miracolo, lo vede alla luce del sole.
E Piero e Berru mangiano pane. Un pizzichino tu, un pizzichino io.
Il cane, che è un pane, si lascia prendere da ogni parte. Si concede per vocazione e mansuetudine antica. Perché il pane è il migliore amico dell'uomo.
E mentre questo accade, a due passi da loro, lo zio di Berruguete sta a gambe larghe mezzo seduto su un alto scalino invisibile. Lo fa come lo fanno i cani.

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