29 settembre 2009

Al Sultano Cheelì - 9

La vedova

Camminammo non poco per raggiungere la casa che era stata di Sulpa. Dovemmo attraversare un ruscello poco profondo per evitare un giro troppo lungo e l'ultima parte fu tutta una salita verso la cima dove c'era la casa.
Corenti non fece che bestemmiare per tutto il tragitto, lamentandosi di ogni cosa gli capitasse sott'occhio: l'acqua, le pietre, le spine, l'aria. Ogni cosa, insomma.
Sulpa non parlava e nemmeno a me venne in mente di aggiungere parole al suo silenzio.
Un cane ci abbaiò contro non appena fummo a poco distanza dalla casa. Uno spiazzo ben tenuto le stava davanti e vi giravano tutti quegli animali di bassa corte che fanno ricche queste case di campagna e le tengono sempre vive di suoni e di movimento.
Una donna che rimestava in un secchio si voltò verso di noi cercando di riconoscerci.
Non potendo darci un nome tra quelli che conosceva, ci chiese chi stessimo cercando.
"Non cerchiamo nessuno. Sono l'intendente del Sultano, del governatorato di Colanskji. Dateci da bere, buona donna".
Agitai il bastone con il vessillo a chiarire il concetto e fugare ogni incertezza. La donna capì, ci fece sedere su un sedile di pietra e sparì in casa. Quando ricomparve aveva una brocca d'acqua e tre bambini che le giravano intorno.
Corenti, come sempre gli accade quando vede una donna, si ritrovò con la lingua sciolta. Cominciò a chiedere notizie sulla produzione della zona e se la siccità era stata forte, se c'era produzione di ortaggi, e quale i lavori più urgenti da fare. "Occorrono pozzi? Un ponticello sul fiume non sarebbe poi comodo a tutti?". Disse, a questo riguardo, che avremmo fatto sapere tutto al Sultano. Del che io mi vergognai, ma l'acqua era fresca e tutto passava in subordine.
Ed ecco che la donna ci fa una relazione come solo i contadini della nostra amata terra sanno fare. Dice che le cose peggio non potrebbero andare, che il gran caldo non ha reso possibile nessun raccolto, che le piante sembrano morte appena nate e nate da poco prima di morire definitivamente senza aver dato nessun frutto. Una terra senza giovinezza e senza maturità, insomma, che dio la maledica!
Hai pomodori piantati? Fanno i fiori e il vento caldo li fa cadere. Se pianti patate ci pensano i topi a lasciarti solo le foglie. La vigna la mangiano i cinghiali e quello che lasciano è buono per farci un decotto e non certo per dare da bere agli uomini assetati quando a sera fanno ritorno dalle terre più lontane, se . "No - dice la donna - quest'anno era meglio non perderci il tempo con la terra e starsene a guardare la malora generale senza darle la fatica delle braccia".
L'anno precedente, invece, era stato abbastanza buono. Perché l'anno precedente, almeno, qualcosa s'era raccolto. No, non c'era paragone, anzi, decisamente un'annata discreta era stata. Insomma, mio Sultano, i soliti discorsi che tutti i contadini della tua terra ripetono ogni anno da anni e forse secoli o comunque tutte le volte che sospettano di dover tirar fuori qualcosa. E' brava gente che vive nell'anno precedente.
Terminata questa litania, Corenti dice che ad ogni modo le donne della zona sono le più belle che lui abbia mai visto, e che sono il fiore profumato di questo deserto doloroso. Un poeta... E lo dice così, senza che la frase abbia nessun nesso logico con il discorso che si sta facendo.
Ma che sia un lampo in un cielo senza nubi la signora non lo vede, anzi deve trovare la cosa coerente a sufficienza, infatti si prende il complimento per buono e si propone di offrirci qualcosa da mangiare. "Ma una cosa alla buona, che in casa non c'è molto" ci avverte.
Diavolo di Corenti! Ecco che strappiamo a questa annata miserabile che sembra destinarci ad una carestia senza precedenti un gran pezzo di pane ben cotto e peperoni, olive, fagioli e insalata e un pezzo di formaggio dall'ottimo aspetto e di miglior sapore, per giunta un salame così piccante che la lingua fatica a sentire i denti in bocca. Tutto in abbondanza. Non manca una seconda brocca, stavolta piena di vino. Forse un po' amaro, ma buono.
Corenti, che probabilmente punta addirittura al dolce, si spertica in complimenti ad ogni boccone. I peperoni sono cotti come nessuno mai li ha saputi cuocere, l'insalata sembra tagliata dalle mani di una fata tanto sono sottili e croccanti le foglie sotto la lingua, le olive sono conciate senza essere dure e senza essere troppo mosce. E qui ammicca, ah se ammicca.
"Porto qualcosa anche per il vostro amico? Avrà fame anche lui" chiede la donna. Ci accorgiamo che Sulpa non è con noi e si è perso quella colazione.
"Vado a cercarlo io" e lascio che Sulpa intrattenga la donna come gli pare, chiacchiere non gli mancheranno.
Giro intorno alla casa ed eccolo lì. L'albero è davvero grande e ci sono sul serio gli uccelli che vanno e vengono, incuranti dell'altalena che due corde tengono sospesa con Sulpa che ci sta a gambe tese, gli occhi chiusi dentro chissà quale ricordo o chissà quale trionfo che gli stampa sulla bocca un sorriso mentre i bambini lo spingono di gran carriera verso il cielo aperto.
Mio Sultano, dicono che l'estasi sia uno stato di grazia di breve durata, una specie di pesce che lampeggia sul fondo scuro del fiume facendosi catturare solo dall'occhio del pescatore che si annoia nell'attesa. Evidentemente quello di Sulpa era destinato a prolungarsi un po' di più.
A turno i ragazzini lo spinsero per lungo tempo senza che la sua faccia mutasse aspetto. Il sole cadeva dietro le colline e sull'albero gli uccelli sembravano prepararsi alla notte. Se ne erano concentrati parecchi tra i rami e in un frastuono infernale si preparavano al silenzio della notte.
Aspettai che Sulpa scendesse dall'altalena. Poi insieme dovemmo aspettare che Corenti scendesse dalla giostra della donna che aveva spinto la sua cortesia oltre ogni previsione. Perché, mio Sultano, l'ospitalità delle tue genti è veramente senza limite da queste parti.
Quando tutti i dondolii furono finiti, ci avviammo inseguiti per un bel pezzo dalle voci dei bambini che salutavano Sulpa.

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