17 settembre 2009

Al Sultano Cheelì - 5

Il sogno

E tu mi chiederai quanto è vero il sogno. E a me piacerebbe poterne censire una parte almeno, per vedere quante volte la tua immagine è compagna delle notti dei tuoi sudditi.
Perché tu stesso hai scelto me, nel sogno, per tua compagnia in un lungo e quieto passeggiare fatto assieme in un giardino mirabilmente ordinato di viottoli e siepi.
C'era un'aria sottile come di prima mattina che illuminava l'ordine del mondo, la giustezza di ogni ramo, l'esattezza di ogni sasso che tu hai voluto appoggiare sulla terra.
Tu eri vicino a me silenzioso, ed ecco che siamo al termine del giardino. Ci fermiamo in un ampio belvedere cintato di statue. Ci sediamo vicini e io mi perdo subito nella mia malinconia. Ti rifaccio il racconto di quello che ho scritto: dell'inverno senza piogge, delle viti ballerine e storte, della terra aperta e senza frutti, le stalle ancora tutte da riparare.
E più parlavo più sentivo che ero preda di un'ansia che non conosceva nessun bene.
Cercavo di non piangere ma non devo esserci riuscito del tutto perché tu mi hai detto: "Non è con quest'acqua che rifiorirai" e mi hai messo la mano sulla gamba. Seppi così cosa vuol dire, alla mia età, avere ancora un padre. E mi hai mostrato col dito cosa c'era oltre la balaustra.
Allora vidi il grande azzurro e le vele turcomanne che l'infiorano d'ogni colore.
Poi, tutti e due facemmo merenda.

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