7 settembre 2009

Al Sultano Cheelì - 3

In cerca di Corenti

Dopo i soliti convenevoli dei saluti che sembrano scuse, del dove vai e del come stai, del cosa fai e del come mai, gli esposi il mio problema. Disse chiaramente di non poter lavorare lui stesso nei campi, ma che avrebbe certamente potuto accompagnarmi alla ricerca di validi uomini di fatica.
Fu contento di potermi aiutare e così subito uscimmo di casa: io con passo baldanzoso e rincuorato, Silpa spingendo a tutta forza le grandi ruote della sua carrozzina ortopedica.
Quando fummo arrivati al portone della casa di Corenti, Sulpa rimase ai piedi della scalinata che si inerpica nell'androne buio. Andai su.
Busso una volta, busso tre volte e nessuno risponde. Strano, penso tra me e me, a quest'ora di solito Corenti è alla locanda, come mai non apre? Allora decido di andare a vedere se per caso è in piazza o alla locanda, non si sa mai...
Ma quale non fu la mia sorpresa nel vedere che Sulpa non mi aveva aspettato! Raggiungo la piazza ma non c'è nessuno, solo la piazza spazzata dal vento del primo mattino, carte che volano un po' dappertutto e fanno tristezza. Fogli che vanno nel vento e non hanno intorno nessuno. Perdo tempo tra vicoli e strade che alle fine sboccano tutti nella stessa piazza. Qui giro lo sguardo intorno e vedo la sedia di Sulpa che taglia la piazza da una parte all'altra spinta dal vento di gran carriera. E vedo bene che Sulpa non è sulla sedia.
Mi metto a correre per agguantare quello strumento che pare mosso da un istinto infernale e sta per infilarsi un una via secondaria.
La sedia avanti e io dietro, mio Sultano, che non sono più l'agile ragazzo che fui, benché per poco tempo, un tempo. Faccio fatica a starle dietro, e come una indiavolata ha imboccato una discesa e io ho paura, paura di cadere e di rompermi l'osso del collo e finire per sempre seduto su un attrezzo che rotola malinconico sulla terra.
Questo pensiero mi taglia il fiato e allora mi fermo. Non appena il mare dell'affanno ha finito di uscirmi dal naso con tutto il suo fragore, comincio a sentire i suoni del mondo. Prima quello del vento, poi come il botto di qualcosa di legno che si fracassi su pietre (e capisco che pure la sedia è arrivata al suo buon fine) poi la voce di qualcuno si è messo a cantare. Infatti, a squarciagola, con l'impudente felicità degli ubriachi, Sulpa e Corenti vengono fuori abbracciati, che non si sa chi regga chi. Per un attimo tutto il vicolo è una cantina. Il vento sa solo di alito caldo e di vino.
E' bello sentire le voci degli uomini quando per troppo tempo si è solo ascoltato il vento che fischia negli strumenti dei vicoli stretti, dei fili tirati tra casa e casa, nelle mille bocche delle tegole sopra i tetti.
“Crepa!” mi dice Sulpa appena mi vede. E lo dice perché sono sorpreso che sappia star ritto all'impiedi da solo.
In effetti la sedia era di Silpa…

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