17 settembre 2009

Al Sultano Cheelì - 4

Alla locanda del Monco

Preso dall'entusiasmo di questi due bevitori canterini che non mi lasciano parlare e non si lasciano rimproverare, decidiamo su due piedi di festeggiare l'incontro. Allora si torna tutti assieme alla locanda per bere.
Ce n'è, lungo tutte le strade che portano al cuore della tua grandezza, o Sultano, un gran numero. Ma questa locanda, detta del Monco, non è certo tra le più degne d'essere menzionata. Ha piccola la porta di ingresso, piccoli sono i due ambienti che ospitano viandanti e pastori di passaggio. L'interno è sempre avvolto nell'oscurità per via delle ridotte dimensioni delle finestre che danno sulla via principale. Eppure...
Sulpa conosce l'ostessa, una certa Gagliova con due gambe tonde tonde ed un petto, buondìo, che ci potresti fare l'alba dentro e non riuscire a vedere il sole che sorge.
Questa Gagliova è una buona donna. Ha sempre lavorato sodo, mio Sultano, e ha sempre versato la tassa di mescita e distillazione così come tu hai imposto. Lei mi conosce perché sono io che riscuoto i tributi in questa parte dell'isola. Quando mi vede è sempre contenta, perché in me vede qualcosa di te, mio giusto ed onorato signore.
Ci mettiamo seduti ad uno dei tavoli e Sulpa già mesce acquavite nei bicchierini. Fatto ancora più allegro dalla bevanda, Corenti si mette a toccare il sedere all'ostessa che ha due seni che ci potresti far notte dentro senza accorgerti di quando è mezzogiorno.
Gagliova, da brava padrona, ci sta. Lei sa bene cosa fa venire sete agli uomini. E noi ci diamo da fare anche troppo.
Sulpa è fuori di sé dalla felicità. Dice di non sentire i suoi anni, dice anche che le guerre e i giorni di carestia nulla gli hanno tolto, ma l'hanno solo temprato. Quando attacca col suo racconto della guerra delle Due Riviere, io oramai non lo ascolto e non lo sento più.
Dopo diversi bicchierini eravamo tutti e tre sotto le pesanti ali protettrici dell'ostessa. Sulpa s'era attaccato al capezzolo di destra e immaginava di succhiare ancora il suo ovetto di gallina e ciucciava di buona lena. Corenti si dava da fare dall'altro lato e titillava il capezzolo di sinistra facendolo allungare a dismisura. Era felice e credeva di aver ritrovato un coniglietto che nell'infanzia gli era stato carissimo compagno di giochi.
Io, mio Sultano, stavo con la nuca appoggiata tra quei due guanciali e guardavo il soffitto. Meditavo sul tuo buongoverno, pensavo al rispetto che il popolo ti porta e a quanto tu stesso ne mostri a lui, senza nulla tralasciare nella cura del suo bene. Poi, mi sono girato da un lato fissando la mazza con il tuo stenda­rdo e sono caduto nel sonno profondo del desiderio soddisfatto e del vino finito.

Nessun commento: