29 settembre 2009

Al Sultano Cheelì -8

La casa di Sulpa

Era tempo di fermarsi e mangiammo qualcosa ciascuno per suo conto all'ombra di una pianta.
Sulpa invece s'era messo a un canto della strada e guardava incantato fisso ad un punto.
"Che c'è Sulpa? Che stai guardando?"
Mi fece un cenno con la mano in direzione di una collina sulla cui cima si intravvedeva una costruzione bassa e larga. Era probabilmente una casa di pastori o un semplice ricovero per le bestie, a giudicare dalle dimensioni del fabbricato.
"Un ricovero per il bestiame… Ne abbiamo visti tanti fino ad ora." dissi.
"Be', quella era casa mia. C' ho vissuto da ragazzo." disse Sulpa. "Guarda il tetto di quanti colori è. Sembra un aquilone. Non so quante volte l'abbiamo riparato io e Silpa. Un'estate ci fu una tempesta che ce ne portò via quasi una metà. Passammo tre giorni a cercarne i pezzi ancora utilizzabili tutt'intorno la casa, sparpagliati come una manciatina di sale. Eh, il posto è bello ma quando tira il vento è sempre un problema. Quella parte di tetto che vedi più rosa, là, sulla destra, quella è fatta con le tegole della stalla di Pirincip, un nostro parente che viveva in fondo all'altra valle. Questo Princip, che noi chiamavamo zio Prin, lasciò la terra e tutto ciò che aveva, bestiame e piante, all'improvviso".
"Nel senso che partì?" chiesi poco curioso del destino dello zio, ma più per cortesia.
"Non se ne sapeva nulla. Non se ne è saputo più nulla dalla sera alla mattina. Le sue cose sono andate in malora. Per un po' abbiamo pensato che sarebbe tornato, ma niente. Così io e Silpa una volta siamo arrivati fino a quella specie di catapecchia dove viveva e abbiamo fatto un carico delle poche tegole ancora utili, o di quelle che erano rimaste perché la gente lì vicino si era già servita. Degli attrezzi e degli animali neppure l'ombra, ovviamente."
Alzando lo sguardo al cielo tutto preso dal sole, Sulpa aggiunse "Proprio così, sparito da un giorno all'altro. Partito o solo sparito, chi lo poteva dire? Chissà, forse il vento di tutte le tempeste s'era portato via zio Prin tutto intero."
Automaticamente guardai anche io nel cielo, come se da un momento all'altro potessi vedere che fine avesse fatto questo zio aspirato nelle altezze del cosmo e risolvere con un colpo di fortuna il segreto che lo avvolgeva. Niente altro che un cielo con un sole abbagliante, una nuvola piccola e chiara appoggiata in fondo alla scena sopra la fila di colline che avevamo davanti.
Feci per muovermi, considerando che il racconto fosse finito. Ma Sulpa mi mise la mano sul braccio per fermarmi.
"E l'albero grande, lo vedi l'albero grande? L'ho piantata proprio io. Era solo una ghianda messa in una vecchia scarpa con della terra. Era una piantolina con una forza straordinaria. In pochi mesi era già alta così" e mise la mano a mezz'aria come stesse accarezzando un cane.
"Guarda adesso che pianta! Ci stavo attento tutti i giorni: acqua, terra, un po' di letame. Poco per volta cambiavo il contenitore finché fu pronta per la terra aperta. La difendevo dalle formiche e dal maiale che ci si voleva strofinare la schiena. Mi ero convinto che senza di me non potesse farcela. Pensavo che saremmo cresciuti sempre assieme. Uno necessario all'altra."
"Pare che se la sia cavata bene anche da sola" dissi.
"Pare anche a me" aggiunse deluso Sulpa. "Eppure siamo stati bene assieme. Aspettavo solo che crescesse per metterci un'altalena o farmici un rifugio. A volte mi immaginavo che sarebbe stata il mio miglior riparo alle piogge o il mio posto preferito per la caccia ai nidi. Poi un giorno è tornato".
"Ma chi?"
"Lo zio Prin. Bussano alla porta ed eccolo lì sull'ingresso, tutto ben vestito, quasi con un'aria da signore. Una tunica ben rifinita, una grossa borraccia a tracolla e per completare l'opera e la nostra meraviglia anche un fucile sulla spalla. Allora mio padre gli chiede cosa ci faccia dalle nostre parti, con un tono un po' infastidito tanto che io e Silpa ci fermiamo dove siamo. Perché stavamo per corrergli incontro felici di rivederlo. E lui fa per entrare, ma anche mia madre gli dice di restare dov'è. Briganti in casa non ne vogliamo, gli dice. Dice anche che tutta la famiglia ha vergogna di lui. Capisci? Un brigante in carne ed ossa alla porta della nostra casa e per giunta è lo zio Prin, uno che gli potevamo tirare i baffi e che adesso ci potrebbe tirare il collo a tutti e quattro quanti siamo nella cucina. Io e Silpa non possiamo credere a quello che vediamo perché dei briganti abbiamo sentito parlare senza averne mai avuto un'idea chiara. Sappiamo cosa fanno, sappiamo che è gente violenta. Quando Silpa mette il dito nella pentola prima che siamo tutti a tavola e se lo lecca di gusto mia madre gli dice che è proprio un brigante, proprio così.
Allora mi passa per la testa che lo zio Prin sia venuto a reclamare per le sue tegole e a lamentarsi del nostro furto. Vedrai che adesso mi dice che sono un lurido porco ladro, penso tra me e me e mi metto più dietro a mio padre. Ma i briganti sono così, è gente che prende la roba degli altri senza chiedere il permesso. Quindi zio Prin non può mettersi a fare tante storie per qualche tegola proprio con noi che siamo suoi parenti. Ma un brigante non si lascia fermare dalle parole di una donnetta qualsiasi e dalla domanda di un uomo disarmato.
Entra in casa e si siede al tavolo, si serve una sorsata d'acqua dalla brocca e per giunta si colma la borraccia che ha al fianco. Dice solo poche parole: grazie dell'acqua. Ma lo dice tra i denti e con un sorriso storto senza allegria, e io penso che si riferisca all'acqua che gli è piovuta nella casa senza tegole e mi metto ancora più dietro a mio padre. Invece lui mette due monete grosse accanto alla brocca e sparisce, questa volta per sempre."
"Bene, sarà meglio riprendere il cammino" dico io.
"Monete d'oro" dice Sulpa e allora mi fermo dove sono.
"Due monete d'oro con la faccia di Supàr Parìd che brilla di luce. Una roba mai vista in casa mia. Fu con quelle monete che mio padre comprò l'asino che ci avrebbe portati via di qui. E due agnelli figli della stessa pecora che mio padre chiamò Sulpa e Silpa, proprio come noi, creando qualche confusione fin quando non decise di non chiamarli più per nome."
"E poi? Che ne è stato del brigante?"
"Ecco, in verità mio padre aveva dato lui dei soldi a zio Prin ai tempi in cui le cose non gli andavano bene. Ma mio padre si era preso a garanzia la sua casa, mettendolo alla porta e destinandolo a vivere in quella catapecchia che poi lui aveva abbandonato all'improvviso. Zio Prin era tornato sotto forma di brigante a saldare il debito e a riprendersi caparra e garanzia, pagando certamente molto più di quello che aveva avuto a suo tempo. Seppi poi che mio padre avrebbe voluto tenersi la casa e restituire il di più, ma non ci fu nulla da fare. Zio Prin volle prendersi la soddisfazione di vederci andar via. Così dovemmo lasciare la casa mentre lui ci guardava partire."
"Ma che diavolo!" dissi indignato.
Ma Sulpa si fece una risatina amara come non gli avevo mai visto fare.
"Chi fosse il diavolo me lo sono chiesto anche io, mio padre o zio Prin? Dove era cominciato il male? Chi aveva rubato di più? Non saprei dire. Ma il mio albero è ancora lì e, a giudicare dagli uccelli che ci girano intorno, ci devono essere molti nidi. Ma forse nessuno ci ha mai giocato sopra."
"Andiamo a vedere" dissi senza pensarci troppo su.

Nessun commento: