27 giugno 2009

Letteratura nel quadrante 14

Chi passa la notte sveglio nel letto a Sarajevo, può udire le voci della sua oscurità. Pesantemente e inesorabilmente batte l'ora sulla cattedrale cattolica: due dopo la mezzanotte. Passa più di un minuto (esattamente, ho contato, settantacinque secondi) e solo allora si annuncia, con un suono più debole, ma acuto l'orologio della chiesa ortodossa che batte anch'esso le sue due ore. Poco dopo si avverte con un suono rauco e lontano la Torre dell'orologio della Moschea del bey, che batte le undici, undici ore degli spiriti turchi, in base a uno strano calcolo dei mondi lontani e stranieri. Gli ebrei non hanno un loro orologio che batte le ore, il
dio malvagio è l'unico a sapere che ore sono in quel momento da loro, quante in base al calcolo sefardita, quante secondo il calcolo degli askenazi. Così anche di
notte, mentre tutto dorme, nel conto delle ore vuote del tempo veglia la differenza che divide questa gente assopita che da desta gioisce e soffre, che si nutre o digiuna in base a quattro calendari diversi, ostili fra loro, e che rivolge
tutte le sue preghiere allo stesso cielo in quattro diverse lingue ecclesiali. E questa differenza, talvolta visibilmente e apertamente, talvolta in maniera sotterranea e subdola, è sempre simile all'odio, col quale spesso si identifica.

***ANDRIC IVO, Lettera del 1920, in "Racconti di Sarajevo", pag.33,
Newton Compton

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