11 agosto 2009

Al Sultano Cheelì -1

Mio amatissimo Sultano

Mio amatissimo Sultano,
in qualità di custode di questa provincia che tutta vi appartiene, vi mando il resoconto dei fatti più importanti occorsi al popolo e alle cose che vi devono obbedienza e che vi offrono la loro devozione e il loro profitto.
Salute e prosperità, mio Sultano!
Il governatorato di Colanskij, come già vi è noto, ha avuto quest'anno un mite inverno che non se ne vedeva uno di tal fatta da tempo immemorabile.
Interrogati da me, alcuni anziani dei villaggi giurano che dai tempi del Sultano Agonij non si vedeva una cosa del genere e che, essendo stati quelli tempi di grandi ricchezze e pace duratura, senza dubbio saranno così anche i tempi a venire.
Questo l'auspicio tratto dagli anziani che qui comunico perché possiate trarne augurio e affinché vi renda chiaro in che modo tutti qui collegano il vostro nome a quanto di maggior bene possa esserci al mondo.
Mio amatissimo Sultano, purtroppo devo qui aggiungere ai fiori del futuro le note del presente e dirvi che le vostre vigne hanno molto patito la gran secchezza della stagione e che le gemme ora sono stenterelle a farsi largo sui legni più vecchi, come che questi fossero stati più rapidamente induriti dalla mancanza di acque.
In alcuni punti le viti non mostrano alcun segno di attività. Cadute in un sonno profondo ma non morte, stanno con quella loro aria un po' perplessa e un poco sofferente sotto questo sole che non le ignora.
Anzi, sembra cercarle a bella posta e su di esse più volentieri distendersi, essendo tutte disposte nella posizione a lui più favorevole. Fu il Sultano vostro nonno a volerle piantate sulla via più soleggiata. E ciò fece a ragion veduta, che sempre hanno prosperato con frutti dolci e forti a un tempo. come bene sapete, se è vero che sulla vostra tavola sempre un vino di Colanskji è tra quelli serviti.
Ma pare che quest'anno ciò non giovi né a loro che ne patiscono, né a me cui con molto onore furono affidate in custodia ed ora ve ne devo dare un così triste resoconto e ragione.
E' la terra, mio Sultano, la terra che non vuole più nutrirle e il sole che non vuole più lasciarle!
A causa del gran secco le zolle hanno cominciato a ritirarsi dai fusti, dove prima si è indurirta e poi spaccata. I fusti non sono così saldi al terreno come un tempo. E per quanto ciascuno di essi sia saldamente legato da salici al suo palo, ora a toccarli dondolano avanti e indietro come giovani ballerini scatenati in una danza scomposta che non rallegra a vedersi.
Ma pare che questo strano carattere dell'ultimo inverno non abbia solo scosso le radici dei nostri vigneti.
Credi a me, mio Sultano, quando dico che molte volte si è stentato a trovare qualcuno dei nostri uomini per fare i lavori nelle tue stalle. Tu sai che il nostro governatorato non ha mai avuto problemi con i contadini. Il solo tuo nome li ha sempre spinti a dare il meglio di sé. Il rispetto devoto che essi ti portano è leggendario, lo sai. Sai anche che da Iruk stessa molte volte i fattori sono venuti fin qui per cercare manodopera, per quanto Iruk sia città popolosa in cui non mancano forti e giovani lavoratori.
Tuttavia, Signore, per via della mitezza stessa dell'aria pare che stavolta gli uomini abbiano dimenticato le loro migliori qualità, lasciandosi andare più ai piaceri offerti dalle donne che a quelli di un lavoro portato a termine.
E' vero che i contadini si sono spesso spostati in gruppi numerosi ed entusiasti verso Iruk. Sciami verso il dolce e segreto favo, se ne andavano all'imbrunire verso al città per far ritorno solo dopo giorni. Certamente felici ma inabili alle opere.
Iruk è città di onesti cittadini, ma le sue strade sono troppo piene di case amorose e tanto a buon mercato che chiunque può concedersi un giorno e una notte di piacere per pochi gaslìm.
Così, quando sarebbe stato necessario deviare un corso d'acqua lì lì per perdersi, o costruire una cisterna, non era possibile trovare chi lo facesse.
Non pensare che io abbia rinunciato alla soluzione di questi problemi fermandomi alla prima difficoltà. Ho fatto quello che ho potuto e tu stesso potrai giudicare se qualcosa è stata trascurata. In tal caso, mio amatissimo Sultano, cada la tua giusta e facile punizione su di me, lascia a Dio solo la fatica della clemenza.
Dunque, non potendo fare affidamento sugli uomini più giovani, ho chiesto aiuto dove potevo.
Tu sai che Machili e Fiodj sono troppi vecchi per alcunché. Machili poi ha perso una gamba proprio l'anno scorso durante lo spostamento del mulino quando la pietra della macina cadde dal traliccio che la sorreggeva. Allora, e che terribile giorno fu quello, avemmo anche due morti: Achì Russù, di anni 20 e Sed Alì suo padre, in età di 37. Tutti e due molto validi anche se uno aveva perso la mano destra giorni prima mentre cercava di sollevare la pietra della macina centrale e l'altro avesse ormai perduto l'udito perché punto in testa da qualche insetto mentre dormiva nei campi di erba medica. Ecco perché non si accorse della grande pietra che rotolava alle sue spalle. Sventurato, a nulla valsero anche le nostre grida di pericolo imminente.
Non ho ritenuto di chiedere aiuto al povero Andrei. Conosci la sua storia disgraziata. Da quando gli è crollato il tetto della casa per il forte vento dell'estate di due anni fa, pare essere poco sano di mente. Va in giro a chiedere a chi incontra, se per caso hanno visto il suo tetto posato sulla cima di un albero. Qualunque sia la risposta, egli chiede dove sia l'albero e quanto alto e quanti frutti ci siano sopra e se sopra ai frutti non ci sia per caso il suo tetto. E va così, in un giro di domande che non ascoltano risposte, sempre mordendosi la coda, per così dire.
Come vedi, mio Signore, la cosa è più difficile di quanto sembri, perché anche a voler fare un lavoro da niente, bisognerebbe prima risolvere i cento problemi di chi dovrebbe aiutarti.
Non ho potuto far altro che bussare alle porte di Silpa, Corenti e Maggiorenti. Dei primi due avrai certo nota la storia, sono i due falegnami che diedero al lavoro molto del loro tempo e nove dita in due.

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